I sociologi si sono a lungo interrogati sui meccanismi sociali alla base dell’emergere di pregiudizi e discriminazioni contro le minoranze etniche. In un recente articolo pubblicato sulla rivista Social Science Research, gli autori studiano il cambiamento di atteggiamenti anti-immigrati in quattordici paesi europei tra il 2002 e il 2014, concentrandosi su diverse coorti demografiche. I risultati dello studio mettono in evidenza diversi aspetti di notevole interesse per meglio comprendere la natura delle relazioni sociali in contesti multiculturali.

Secondo il modello teorico della minaccia competitiva, la paura della concorrenza, l’aumento della dimensione di una popolazione esterna e condizioni economiche negative provocano ostilità, pregiudizio e discriminazioni contro i membri delle popolazioni esterne. Utilizzando questo quadro teorico gli autori mettono a confronto il sentimento anti-immigrati in diversi paesi: in Gran Bretagna, Portogallo, Francia, Austria e Belgio l’ostilità verso i migranti è relativamente alta, mentre in altri, tra cui Svezia, Finlandia, Svizzera e Danimarca è relativamente bassa. Solo in Germania, Austria e Irlanda si è assistito ad un cambiamento degli atteggiamenti durante il periodo di riferimento: in Austria è aumentato tra il 2002 e il 2014, in Germania è diminuito tra il 2006 e il 2014 mentre in Irlanda è diminuito nel 2006 ma è aumentato drasticamente tra il 2007 e il 2010 per poi tornare al livello precedente.

Indipendentemente dal paese di nascita, gli individui vulnerabili, ovvero quelli con un reddito più basso, si sentono più minacciati e quindi hanno maggior probabilità di adottare comportamenti anti-immigrati. Al contrario un maggior livello di istruzione è associato a un minor grado di ostilità verso i migranti. Inoltre, lo studio rileva che gli atteggiamenti anti-immigrati sono molto più pronunciati nei vecchi paesi di immigrazione rispetto ai nuovi. Però sia nei vecchi che nei nuovi, l’ascesa di atteggiamenti anti-immigrati è associata ad un incremento delle quote di minoranze etniche non europee, le quali sono diventate una fonte strutturale di crisi percettiva.

In Spagna, Portogallo, Irlanda e Finlandia (nuovi paesi di immigrazione) la coorte di popolazione nata tra il 1931-1950 ha il più basso livello di sentimenti anti-immigrati. Al contrario, il livello più alto si registra per la coorte di individui nati tra il 1971 e 1990; è un po’ più basso per la coorte 1991-1995. Si ritiene che gli individui più anziani siano più tolleranti perché sono entrati per la prima volta nel mondo del lavoro quando l’affluenza di lavoratori stranieri era bassa e quindi non rappresentava una minaccia. Inoltre, è possibile che una porzione considerevole dei componenti della coorte più anziana fossero essi stessi immigrati in altri paesi diversi da quello d’origine e quindi più tolleranti verso gli immigrati nel loro paese. Quando invece sono stati i gruppi più giovani a cercare il loro primo lavoro il tasso di disoccupazione era più elevato così come il numero degli stranieri, questi due fenomeni contribuiscono ad aumentare la concorrenza, quindi la paura e conseguentemente aumentano i sentimenti contro chi è diverso. Tutto ciò produce una “cicatrice” difficile da rimarginare che fa perdurare gli atteggiamenti anti-immigrati.